Le raffigurazioni di nature morte, intese come cose inanimate (fiori, stoviglie, verdure, cacciagione) ci sono sempre state nell’arte, per esempio nell’Annunciazione si vede spesso Maria seduta con un libro di preghiere in mano e accanto un cestino pieno di gomitoli o un vaso di gigli che alludono alla sua verginità, oppure nell’Ultima Cena la tavola imbandita con piatti, bicchieri, il pane e la frutta è già una “natura morta”. È però nella seconda metà del ‘500, soprattutto ad opera di pittori olandesi, fiamminghi e spagnoli, che questi elementi naturalistici e di uso quotidiano presenti nei dipinti con soggetti sacri prendono gradatamente il sopravvento sul tema centrale. Le tele dei fiamminghi sono piene di oggetti ammassati su tavoli che vengono descritti minuziosamente solo per il gusto di farlo, per dimostrare la propria abilità ed è un genere di arte che è molto apprezzata oltr’Alpe. In Italia, invece, no. In Italia la natura morta è disprezzata perché contrapposta alla rappresentazione della natura vivente e in movimento, cioè l’uomo. I quadri venivano pagati in base a quante figure umane vi erano ritratte. Saper fare l’uomo con la sua anatomia e psicologia, ma soprattutto nella sua valenza trascendente di figlio di Dio e quindi creatura perfetta, comportava indubbiamente maggiore maestria che disegnare un carciofo! Molti pittori, anche stranieri, tra il Cinquecento e il Seicento scendono in Italia, soprattutto a Milano e a Roma, che in questo periodo è un immenso cantiere a cielo aperto poiché i papi, sulla scia della Controriforma che si oppone alle eresie di Lutero, vogliono trasformarla nella capitale del cattolicesimo mondiale. Vengono erette nuove chiese, allargate strade e la città diviene meta di un gran numero di artisti, tra i quali Rubens e Bernini, sicuri di trovare protettori e commissioni. Anche Michelangelo Merisi detto il Caravaggio arriva a Roma dalla Lombardia. Sarà proprio lui a fare della natura morta con la sua Canestra di frutta un genere artistico autonomo e non più di sfondo e comprimario ai soggetti animati. Con lui la natura si carica di simbolismi: la mela bacata, la foglia secca, il petalo che cade dal fiore, la candela che si consuma, diventano meditazione sul passare del tempo, sulla caducità della vita, sulla fragilità e corruttibilità delle cose.
Le grandi opere del passato spiegate in modo da essere comprese anche da chi si accosta solo adesso al mondo dell'arte. Dietro un capolavoro c'è un autore, un particolare soggetto, un epoca e la loro straordinaria storia.
moretta
lunedì 14 gennaio 2013
La natura morta
Le raffigurazioni di nature morte, intese come cose inanimate (fiori, stoviglie, verdure, cacciagione) ci sono sempre state nell’arte, per esempio nell’Annunciazione si vede spesso Maria seduta con un libro di preghiere in mano e accanto un cestino pieno di gomitoli o un vaso di gigli che alludono alla sua verginità, oppure nell’Ultima Cena la tavola imbandita con piatti, bicchieri, il pane e la frutta è già una “natura morta”. È però nella seconda metà del ‘500, soprattutto ad opera di pittori olandesi, fiamminghi e spagnoli, che questi elementi naturalistici e di uso quotidiano presenti nei dipinti con soggetti sacri prendono gradatamente il sopravvento sul tema centrale. Le tele dei fiamminghi sono piene di oggetti ammassati su tavoli che vengono descritti minuziosamente solo per il gusto di farlo, per dimostrare la propria abilità ed è un genere di arte che è molto apprezzata oltr’Alpe. In Italia, invece, no. In Italia la natura morta è disprezzata perché contrapposta alla rappresentazione della natura vivente e in movimento, cioè l’uomo. I quadri venivano pagati in base a quante figure umane vi erano ritratte. Saper fare l’uomo con la sua anatomia e psicologia, ma soprattutto nella sua valenza trascendente di figlio di Dio e quindi creatura perfetta, comportava indubbiamente maggiore maestria che disegnare un carciofo! Molti pittori, anche stranieri, tra il Cinquecento e il Seicento scendono in Italia, soprattutto a Milano e a Roma, che in questo periodo è un immenso cantiere a cielo aperto poiché i papi, sulla scia della Controriforma che si oppone alle eresie di Lutero, vogliono trasformarla nella capitale del cattolicesimo mondiale. Vengono erette nuove chiese, allargate strade e la città diviene meta di un gran numero di artisti, tra i quali Rubens e Bernini, sicuri di trovare protettori e commissioni. Anche Michelangelo Merisi detto il Caravaggio arriva a Roma dalla Lombardia. Sarà proprio lui a fare della natura morta con la sua Canestra di frutta un genere artistico autonomo e non più di sfondo e comprimario ai soggetti animati. Con lui la natura si carica di simbolismi: la mela bacata, la foglia secca, il petalo che cade dal fiore, la candela che si consuma, diventano meditazione sul passare del tempo, sulla caducità della vita, sulla fragilità e corruttibilità delle cose.
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