Sandro
Botticelli dipinse la Primavera intorno al 1478 in
occasione delle nozze di Lorenzo di Pierfrancesco dei Medici, cugino di secondo
grado di Lorenzo il Magnifico, con Semiramide Appiani. Inteso come omaggio alla
sposa e destinato alla loro camera da letto, il quadro voleva celebrare Venere,
dea dell’amore, del matrimonio e della bellezza. Oggi è conservato agli Uffizi di Firenze.
Vi sono raffigurati otto personaggi che si muovono all’interno di un aranceto.
Al centro si trova Venere e sopra di lei il figlio Amore che, bendato, sta per
scagliare una freccia infuocata, colui che ne verrà colpito s’innamorerà. Alla
loro destra tre fanciulle, le Grazie, coperte da veli trasparenti, si tengono
per mano in un girotondo mentre il giovane, che con un bastone dissipa le
nuvole, è Mercurio, il messaggero degli dei riconoscibile dai calzari alati. Il
suo gesto sta a significare che nel giardino dell’amore regna soltanto il sole
perenne. Questa scena trova riscontro in un brano di uno scrittore e filosofo
latino, Seneca, in cui descrive le Grazie, figlie di Venere e quindi sorelle,
come coloro che seppero allontanare gli uomini dalla rozzezza dei costumi,
mentre Mercurio donava loro la razionalità. Ciò contribuì a dividere gli esseri
umani dagli animali. Più complessa è l’altra metà del dipinto dominata dalla
bellissima figura di Flora, dea della primavera, che sparge sul prato i suoi
fiori. Accanto a lei stanno Zefiro, il
dolce vento primaverile, con le guance gonfie e una veste azzurra, e la ninfa
Clori. Zefiro non è raffigurato da Botticelli come la leggera brezza che
trasporta i semi che feconderanno la terra; entra invece con impeto nel
giardino tanto che al suo passaggio gli alberi si piegano. Sta inseguendo Clori
che, spaventata, si volge a guardarlo quando ormai l’ha già afferrata e dalla
sua bocca incominciano ad uscire fiori. La chiave di questa scena si trova in
alcuni versi di un poeta latino, Ovidio, che descrive come l’inizio della
primavera abbia avuto origine dall’aggressione e lo stupro di Zefiro ai danni
della ninfa Clori e che poi, pentitosi, le avrebbe donato l’immortalità
trasformandola nella dea dei fiori e delle messi.
A
questo punto, riassumendo i due episodi descritti nel dipinto, appare chiaro il
suo significato; Botticelli in quest’opera, destinata ad una giovane coppia di
sposi, ha voluto esaltare l’amore nei suoi aspetti più casti e spirituali
simboleggiati dalle Grazie e da Mercurio, ma anche nella sensualità carnale cui
allude palesemente il mito di Clori.
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