Il gioiello raffigurato nella foto è conservato al Walters Art Museum di Baltimora ed è datato 1550-1559.
Il manufatto raffigura una testa di martora (oppure zibellino,
donnola, ermellino e in generale tutti gli animali della famiglia dei
mustelidi) in oro lavorato a sbalzo. Sul muso è ritratta una colomba ad ali
spiegate in smalto bianco. Tra gli occhi dell’animale, riprodotti in maniera
estremamente realistica, si eleva un castone d’oro simile al bocciolo di un
fiore con al centro un rubino e da esso partono festoni vegetali con motivi
decorativi e zoomorfi smaltati in verde, celeste, nero e bianco; altri castoni
dello stesso tipo ma più piccoli circondano la testa come una sorta di diadema
intercalati da fiori bianchi a sei petali, perle ed elementi fogliacei smaltati
in verde. La bocca dell’animale è semiaperta e da essa si intravedono i piccoli
denti in smalto bianco e la punta della lingua in smalto rosso. Estrema cura è
stata rivolta alla realizzazione del vello sulla testa, del pelo intorno agli
occhi e delle orecchie evidenziate con una sottile linea in smalto nero, il
tutto realizzato in oro sbalzato e inciso.
Portare stole di zibellino, martora o ermellino era di gran moda nel Rinascimento già a partire dalla fine del
1400 e ne troviamo numerosi esempi in moltissimi ritratti: nel Ritratto di dama di Bernardo Luini
(1520-1525 ca. National
Gallery of Art, Washington)
e nel Ritratto della contessa Livia da Porto Thiene con la figlia Porzia del Veronese (1551, The Walters Art
Museum, Cleveland); la sola testa in oro e gioielli è visibile nel Ritratto di Eleonora Gonzaga della Rovere
di Tiziano (1538, Uffizi, Firenze).
La prima notizia su questo accessorio la conosciamo da un
appunto nell’inventario del Duca Carlo il Temerario di Borgogna del 1467 nel
quale si descrive una stola di martora da mettere intorno al collo con la testa
in oro e gli occhi di rubino. Un documento successivo, del 1489, parla invece
di uno zibellino indossato da Isabella d’Aragona duchessa di Milano. Dell’animale erano di solito ingioiellate le zampe e la testa
e così impreziosita la pelliccia veniva semplicemente tenuta in mano, oppure
posata su una spalla o sfoggiata appesa alla cintura dell’abito mediante una
catena d’oro. Erano oggetti costosi e ricercatissimi e caddero ben presto nella
rete delle limitazioni da parte delle Leggi Suntuarie. Nel 1545 a Bologna, per
esempio, si ordinò che gli zibellini non avessero ornamenti d’oro, d’argento,
né perle e gioie ma che fossero solo legati a una catena d’oro il cui costo non
doveva superare i 20 scudi. Inoltre essi potevano essere indossati solo da
donne maritate da più di due anni. Pare che le prime a lanciare tale moda siano state Isabella e
Beatrice d’Este e dall’Italia si sarebbe poi propagata tra le nobildonne
d’Europa.
Con tutta probabilità lo zibellino ingioiellato col quale molte dame
amavano farsi ritrarre a testimonianza di esclusività, eleganza e soprattutto
ricchezza non può essere considerato solo un accessorio di moda ma un amuleto
vero e proprio, indossato per proteggere le gravidanze e il parto dalle
complicazioni e per auspicare la fertilità e questo in base ad una leggenda che
circolava nel Medioevo,
leggenda già nota ad Aristotele (De generazione animalium , III,
756b,5-6), sostenuta poi da Sant’Efrem (IV secolo) e confutata infine da Sant’Isidoro di Siviglia (“Falso autem opinantur qui dicunt mustelam ore
concipere, aure effundere partum”, Etimologie, Libro 2, cap. 3); in essa si affermava che tutti
i mustelidi concepivano tramite l’orecchio e partorivano dalla bocca, ovvero in
maniera casta. Questo ha associato in epoca cristiana tali animali alla Madonna che prestò ascolto all’Annuncio dell’angelo e pronunciò il Logos, il Verbo
incarnato, ovvero concepì miracolosamente e partorì Cristo Salvatore. La
presenza della colomba sul muso dell’animale raffigurato nel gioiello preso in
esame con molta probabilità rappresenta lo Spirito Santo e si collega dunque a
questa leggenda.
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