moretta

lunedì 14 gennaio 2013

Primavera





Sandro Botticelli dipinse la Primavera intorno al 1478 in occasione delle nozze di Lorenzo di Pierfrancesco dei Medici, cugino di secondo grado di Lorenzo il Magnifico, con Semiramide Appiani. Inteso come omaggio alla sposa e destinato alla loro camera da letto, il quadro voleva celebrare Venere, dea dell’amore, del matrimonio e della bellezza. Oggi è conservato agli Uffizi di Firenze. Vi sono raffigurati otto personaggi che si muovono all’interno di un aranceto. Al centro si trova Venere e sopra di lei il figlio Amore che, bendato, sta per scagliare una freccia infuocata, colui che ne verrà colpito s’innamorerà. Alla loro destra tre fanciulle, le Grazie, coperte da veli trasparenti, si tengono per mano in un girotondo mentre il giovane, che con un bastone dissipa le nuvole, è Mercurio, il messaggero degli dei riconoscibile dai calzari alati. Il suo gesto sta a significare che nel giardino dell’amore regna soltanto il sole perenne. Questa scena trova riscontro in un brano di uno scrittore e filosofo latino, Seneca, in cui descrive le Grazie, figlie di Venere e quindi sorelle, come coloro che seppero allontanare gli uomini dalla rozzezza dei costumi, mentre Mercurio donava loro la razionalità. Ciò contribuì a dividere gli esseri umani dagli animali. Più complessa è l’altra metà del dipinto dominata dalla bellissima figura di Flora, dea della primavera, che sparge sul prato i suoi fiori. Accanto a lei  stanno Zefiro, il dolce vento primaverile, con le guance gonfie e una veste azzurra, e la ninfa Clori. Zefiro non è raffigurato da Botticelli come la leggera brezza che trasporta i semi che feconderanno la terra; entra invece con impeto nel giardino tanto che al suo passaggio gli alberi si piegano. Sta inseguendo Clori che, spaventata, si volge a guardarlo quando ormai l’ha già afferrata e dalla sua bocca incominciano ad uscire fiori. La chiave di questa scena si trova in alcuni versi di un poeta latino, Ovidio, che descrive come l’inizio della primavera abbia avuto origine dall’aggressione e lo stupro di Zefiro ai danni della ninfa Clori e che poi, pentitosi, le avrebbe donato l’immortalità trasformandola nella dea dei fiori e delle messi.
A questo punto, riassumendo i due episodi descritti nel dipinto, appare chiaro il suo significato; Botticelli in quest’opera, destinata ad una giovane coppia di sposi, ha voluto esaltare l’amore nei suoi aspetti più casti e spirituali simboleggiati dalle Grazie e da Mercurio, ma anche nella sensualità carnale cui allude palesemente il mito di Clori.

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