Quando nel 1417 Tommaso di ser Giovanni Cassai detto Masaccio giunge a Firenze dal natio Valdarno
con la famiglia (la madre rimasta vedova e un fratello) trova un ambiente artistico
dissimile: da una parte Brunelleschi e Donatello fautori di una rivoluzione nel
vero senso della parola nel campo dell’arte e già autori di opere come il
progetto per la cupola del Duomo, il S. Giorgio e i crocifissi lignei di S.
Maria Novella e di S. Croce (vedi nel blog di maggio “Il crocifisso delle
uova”); dall’altra parte operano invece artisti come lo Stagnina, Lorenzo
Monaco e Masolino ancora legati al gotico internazionale e ad un modo di
dipingere che predilige la linea flessuosa nei panneggi che nascondono il corpo
ignorando la sua struttura anatomica. Il giovane pittore, appena sedicenne,
decide di affiancarsi ad un altro pittore suo conterraneo, Masolino da Panicate
di formazione tardo-gotica. I rapporti tra i due non furono mai quelli
dell’apprendista ancora inesperto di fronte all’artista maturo, anzi, la
presenza di Masaccio sembra aver stimolato il pittore più anziano anche se non
capì mai a fondo la sua arte innovativa. Masaccio aveva studiato profondamente
Giotto, da lui aveva appreso che la
persona occupa uno spazio fisico, che la luce illumina un lato della figura
mentre l’altro rimane in ombra, ma mentre Giotto non aveva saputo approfondire
questi concetti Masaccio invece ci riuscirà, grazie anche alla sua amicizia con
Brunelleschi e Donatello e insieme a loro inizierà una vera e propria
rivoluzione in campo artistico.
Nel 1425 riceve un’importante
commissione, un affresco raffigurante la Trinità nella domenicana chiesa
di Santa Maria Novella a Firenze. La scena è costruita rigorosamente secondo il
metodo prospettico brunelleschiano e va letta dal basso in alto. Sul pavimento
poggia un altare sotto il quale è collocato un sarcofago con uno scheletro
simbolo della fisicità transitoria e corruttibile della condizione umana, infatti
vi è scritto: “io fui già quel che voi siete e quel che sono voi ancor sarete”.
Sopra l’altare, preceduta da due gradini ai lati dei quali si trovano
inginocchiati i due committenti dell’opera, monumentali e ben definiti
spazialmente dal chiaroscuro, si apre una cappella ricoperta da un’imponente
volta a botte cassettonata, sostenuta da colonne ioniche, entro la quale si
dispongono la Vergine, vestita come una suora, e S. Giovanni ai piedi del
Cristo crocifisso; dietro la croce sta Dio Padre, unica figura sottratta alle
rigide regole prospettiche, con la colomba dello Spirito Santo. I committenti
rappresentano l’umanità terrena; la Madonna e S. Giovanni l’umanità che si
eleva nella santità, fino ad arrivare alla verità rivelata del dogma, cioè la
Trinità. È importante rilevare che la distribuzione dei personaggi in
profondità fa si che le figure in primo piano, cioè i committenti, siano di
proporzioni maggiori rispetto a quelle divine collocate nel fondo della
cappella; si attua in tal modo un rovesciamento totale del simbolismo
gerarchico medievale che dava alla figura della divinità un ruolo dominante e
proporzioni maggiori (es: la Pietà di Grottino agli Uffizi dove le due
committenti sono più piccole rispetto ai santi raffigurati o il S. Ludovico di
Tolosa che incorona Roberto d’Angiò di Simone Martini al Museo di Capodimonte).
La Trinità di Masaccio, che è l'ultima opera conosciuta dell'artista, prima
della morte improvvisa avvenuta a soli 27 anni, è ben altro che la pura dimostrazione di
un teorema matematico (lo schema della composizione
è piramidale il
cui vertice è Dio; tutti gli altri i personaggi si inseriscono
all’interno di questo schema geometrico), è una profonda meditazione laica sul
rapporto tra uomo e Dio, la raffigurazione di un concetto trascendente non
suscettibile di dimostrazione razionale, entro uno spazio costruito
razionalmente, a misura d’uomo.
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