Tra i tanti capolavori che la
Galleria Borghese di Roma espone c’è il notissimo quadro che Tiziano dipinse
nel 1515 per un politico veneziano, Niccolò Aurelio, in occasione delle sua
nozze. La tela, tutt’ora oggetto di studio poiché offre
molteplici letture, raffigura due donne, una vestita e una seminuda, che
siedono all’estremità di una fontana di pietra riccamente scolpita dove un
amorino, forse Cupido, sta rimescolando l’acqua; sullo sfondo un paesaggio
illuminato da un tardo sole pomeridiano dove si scorge un borgo con un
castello, dei pastori e dei cavalieri intenti ad una battuta di caccia. Le due
donne, di simile perfezione, sono somiglianti e potrebbero sembrare la stessa
persona. Secondo una delle tante interpretazioni le due figure rappresentano
Venere, quella a sinistra simboleggia l’amore terreno, gli impulsi umani e la
forza generatrice della Natura con l'attributo del vaso pieno di gioie mentre
l'altra a destra l’amore eterno, la bellezza universale e spirituale con in
mano la fiamma ardente dell'amore di Dio. L'impianto rispecchia quindi la
concezione neoplatonica tipica di Marsilio
Ficino secondo la quale la bellezza terrena è specchio di quella
celeste e la sua contemplazione prelude alla perfezione ultraterrena. La Venere
ammantata di rosso è raffigurata in piena luce perché simbolo di purezza, di
conoscenza, mentre la Venere terrena è fasciata da ricche vesti cinquecentesche
e si staglia contro uno sfondo ombroso. Cupido, posto tra le due figure
rappresenterebbe quindi il punto mediano tra l’aspirazione all’amore spirituale
e all’amor carnale.
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