Nel
Rinascimento non è raro vedere ritratti di personaggi appartenenti a casate
importanti mentre posano con il proprio cane. Nei ritratti dei bambini e delle
dame di solito sono cani di piccola taglia, “da grembo” come si suol dire,
mentre per gli uomini si tratta di cani di rappresentanza, quindi di una certa
mole o cani da caccia. Ho preso un esempio tra tanti. Nel 1542 fu commissionato
a Tiziano Vecellio il ritratto di una bambina di due anni, Clarissa, figlia di
Roberto Strozzi e
Maddalena dei Medici. La bimba dai bei riccioli
biondi è all’interno di una stanza di fronte ad una grande finestra che lascia
intravedere un rigoglioso paesaggio all’imbrunire. Indossa una leggera veste
bianca ricamata sul corpetto ed è intenta a dar da mangiare al suo cagnolino
posato su un piedistallo in marmo decorato da un pannello con due figure di
putti. L’animale è ritratto con grande naturalezza e cura del mantello.
L’appartenenza di Clarissa a due tra le più ricche e potenti famiglie
fiorentine, gli Strozzi e i Medici, è sottolineato dai ricchi gioielli che
indossa. Al collo un vezzo di perle con un pendente in oro decorato da due
grosse pietre, un rubino e forse uno zaffiro. Al polso un altro giro di grosse
perle. In vita una cintura a maglie d’oro e smalti che le arriva fino ai piedi
e alla cui estremità è appeso un pomander composto da due sfere in oro
traforato nel cui interno di solito si introduceva una pasta odorifera. Tali
gioielli, proprio perché indossati da un bambino, non vanno creduti solo
oggetti di ornamento ma anche amuleti, data l’enorme mortalità infantile
dell’epoca a causa delle più svariate malattie. Le perle, simbolo di castità e
purezza, rimandavano alla protezione della Madonna sulla fanciulla; il rubino
si credeva fortificasse il cuore, lo zaffiro teneva lontane le convulsioni,
mentre il profumo emanato dal pomander proteggeva dalla peste.
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