Entrare nella Grotta del Buontalenti, nel Giardino di Boboli a Firenze, è come avventurarsi in una serie di stanze delle meraviglie ed è con questo intento che prima Giorgio Vasari e poi Bernardo Buontalenti la concepirono alla fine del Cinquecento. Era stato Francesco I de’ Medici, Granduca di Toscana, a volerla per impressionare la corte e i visitatori stranieri e infatti è un luogo magico che affascina e stupisce. E’ una grotta artificiale che raccoglie insieme le tre arti maggiori: architettura, scultura e pittura. La facciata si compone di un ampio ingresso architravato decorato con stalattiti e stalagmiti tipici delle grotte naturali; ai lati due nicchie contenenti le statue di Apollo e Cerere opera di Baccio Bandinelli. In alto un grande arco con al centro lo stemma dei Medici sormontato dalla corona Granducale e affiancato da due figure femminili a bassorilievo; ai lati due pannelli realizzati a mosaico con capricorni marini e festoni vegetali.
Entrando siamo introdotti in un’ampia stanza con al centro una fontana e qui la commistione tra pittura, scultura e architettura è palese: essa
rappresenta il momento in cui la materia informe ricerca un proprio ordine, tema tanto
caro alla scienza alchemica di cui Francesco I era un grande appassionato e
infatti se volgiamo lo sguardo intorno abbiamo l’impressione che niente sia
stabile, rocce, conchiglie, stalattiti, figure dipinte e scolpite paiono
muoversi per cercare una loro ideale collocazione. Non a caso in origine erano
stati posti agli angoli della sala i quattro Prigioni di Michelangelo,
gli splendidi giganti marmorei destinati alla tomba romana di papa Giulio II,
che cercano con enorme fatica di liberarsi dalla materia grezza in cui sono
imprigionati. Oggi gli originali michelangioleschi si trovano alla Galleria
dell’Accademia insieme al famoso David e nella grotta del Buontalenti a partire
dal 1924 furono poste delle copie. Alle pareti scene pastorali realizzate in
stucco e affresco mentre sul soffitto si apre un “oculo” centrale dal quale
filtra la luce circondato da un pergolato illusorio. Immaginate i giochi
d’acqua, il rumore di cascatelle e sgocciolii, oltre agli arabeschi che i raggi
del sole disegnavano sulle pareti.
La seconda stanza ospita al centro il gruppo
marmoreo raffigurante Paride che rapisce Elena (secondo altri Teseo e
Arianna), opera di Vincenzo de’ Rossi e datata 1560. Alle pareti ancora una
volta decorazioni di stalattiti, conchiglie, spugne, fauni, baccanti, animali
esotici e affreschi di grande vivacità.
Nell’ultima stanza domina la splendida Venere
del Giambologna emergente dalle acque di una vasca circolare a cui si
aggrappano quattro satiri dallo sguardo insidioso e bramoso. Alle pareti il
volo di uccelli affrescati tra la fitta vegetazione di un bosco incantato.
Con molta probabilità accanto al tema alchemico, mitologico e
filosofico, la grotta, con i suoi affreschi e le sue statue parla di
corteggiamento e di passione erotica, una sorta di iniziazione per le giovani
dame di corte. Se nella prima stanza esse erano rapite e stordite dalla
bellezza e dalla magia dell’ambiente, nella seconda visualizzavano nel gruppo
scultoreo di Vincenzo de’ Rossi la brama dell’amore, il voler possedere
l’oggetto del desiderio a cui si arriva tramite le attenzioni, gli
avvicinamenti e le lusinghe, fino all’ultima stanza dove le
nudità perfette della Venere marmorea rendono evidenti le mire erotiche e
invogliano alla resa dei sensi.
Che posto interessante!
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