Il suo nome era Lavinia, figlia di un pittore
bolognese, Prospero Fontana che la istruì nella sua arte fin da bambina
portandola così a contatto con i più grandi artisti del suo tempo, i Carracci
primi fra tutti ma anche importanti committenti e mecenati. A 25 anni sposò un
altro pittore ma di scarso talento, Gian Paolo Zappi. Pare che nel contratto pre-matrimoniale
Lavinia pretese di porre la condizione di poter continuare a dipingere anche da
maritata e così fu tanto che il marito, preso atto che non era mestiere suo,
smise di fare l’artista e divenne, oggi si direbbe, il manager della moglie
nonché il suo assistente. Ben presto divenne rinomata tra le nobildonne
bolognesi e romane (a Roma si stabilì a partire dal 1603) come
ritrattista per la sua grande cura dei particolari: i pizzi, i gioielli, le
stoffe, le acconciature, ma anche per la sua grande capacità di sondare la
psicologia del soggetto che poi faceva trasparire nella tela. Non si fermè però ai ritratti cimentandosi anche in scene sacre e mitologiche. Fu
particolarmente cara al papa Gregorio XIII anche lui bolognese che ne divenne
il protettore e committente. Tra un opera e l’altra ebbe anche il tempo di
partorire ben 11 figli ma di essi solo tre sopravvissero. Negli ultimi anni
della sua vita decise di chiudersi in un monastero assieme al marito e lì morì
nell’agosto del 1614. Negli stessi anni proprio a Roma un'altra donna altrettanto geniale nell'arte stava cominciando ad esprimere tutto l suo potenziale: Artemisia Gentileschi.
Questo autoritratto fu eseguito nel 1579 e ritrae Lavinia quale donna
erudita, dedita agli studi umanistici e all’arte, ma anche donna onesta e pia
come dimostra la grande croce che porta al collo. Il suo ricco abito ne denota
anche la facoltosa condizione di donna autonoma economicamente oltre alla
grande abilità che ella aveva nella descrizione dei dettagli di costume e
dell’ambiente. Lo sguardo è fiero, sicuro e buca la tela catturando quello dello spettatore che ne rimane quasi ipnotizzato.
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