Il ghetto di Firenze in un quadro
del 1882 di Telemaco Signorini. Per volontà di Cosimo I Granduca di Toscana nel
1560, ad opera dell’architetto Bernardo Buonatalenti, fu adattato una parte del
centro medievale per farvi sorgere il quartiere ebraico. L’isolato, posto a
nord di Mercato Vecchio (che occupava lo spazio oggi dell’attuale Piazza della
Repubblica, a due passi da Ponte Vecchio), aveva solo tre ingressi muniti di
cancellate in ferro che venivano chiuse a mezzanotte. Prima di essere destinato
agli Ebrei quest’area della città era stata abitata da famiglie nobili, vi
sorgevano prestigiosi palazzi e vi si svolgeva una produttiva attività di
vendita grazie alla presenza di numerosi mercati, botteghe artigiane e negozi.
Col tempo divenne un quartiere composto da stradine che non vedevano mai la
luce del sole, sporche e mal areate e dove si affacciavano povere case
malmesse.
Estintasi la dinastia dei Medici nel Settecento i nuovi signori di
Firenze, i Lorena, abolirono le leggi discriminatorie egli Ebrei a poco a poco
abbandonarono il ghetto per andare ad abitare altre zone della città. Al loro
posto si insediò la popolazione più povera, i reietti, le prostitute e i
furfanti dando vita ad uno dei quartieri più degradati e pericolosi di Firenze.
Quando con l’unità d’Italia Firenze divenne capitale si cominciò a
risanare e modernizzare l’antico centro storico medievale e il ghetto,
considerato una vergogna indegna di una città che era stata culla del
Rinascimento, fu letteralmente abbattuto per far posto a piazze e vie spaziose
ed eleganti.
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