“Io Michel Ang.lo Merisi da Caravaggio mi obbligo
di pingere al Ill.mo S [Ignor] Massimo Massimi p [er] esserne statto pagato un
quadro di valore e grandezza come quello ch’io gli feci già della Incoronatione
di Crixto p [er] il primo di Agosto 1605. In fede ò scritto e sottoscritto di
mia mano questa questo dì 25 Giunio 1605. Io Michel Ang.lo Merisi”
E' la nota autografa, datata 25 giugno 1605, che
attesta la commessa che il pittore Michelangelo Merisi detto il Caravaggio
ottenne dal cardinale Massimo Massimi. In questo documento (uno dei pochi che
ci sono pervenuti dell'artista) Caravaggio si impegna ad eseguire entro il I
agosto di quell'anno, quindi in pochissimo tempo, una grande tela raffigurante
l'Ecce Homo.
“Ecco l’Uomo” così Ponzio Pilato, prefetto romano della Giudea fra
il 26 e il 36, si sarebbe espresso nel mostrare al popolo Gesù dopo il
processo, con i segni della flagellazione. Ma il Cristo di Caravaggio, dal
volto delicato e lo sguardo ormai rassegnato rivolto in basso, non mostra
alcuna ferita, solo un piccolissimo rivolo di sangue sulla fronte dove gli è
stata apposta la corona di spine. La luce che proviene alla sua destra lo avvolge
interamente, essa non è luce solare ma presenza divina: Dio si manifesta, mostra
e offre al mondo il suo unico figlio quale agnello sacrificale per mondare i
peccati degli uomini. Un inusuale Ponzio Pilato, vestito in abiti seicenteschi
e dai tratti quasi caricaturali, guarda lo spettatore indicando il Cristo. Le
sue mani, dipinte di scorcio, imprimono alla scena una straordinaria profondità
e ad esse spetta il compito di parlare, di annunziare "Ecco l'Uomo", più
dello sguardo. Inusuale anche il gesto, quasi di rispetto, del carnefice che
dopo aver incoronato Gesù di spine lo copre col manto e gli parla
sommessamente, in modo pacato; nel suo volto non c'è cenno di derisione ma di
pietà. Forse il primo passo verso la sua conversione.
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