moretta

giovedì 27 marzo 2014

La rivalità che generò un opera d'arte




La maggior parte dei ritratti del Quattrocento fiorentino appartengono alla seconda metà del secolo, le opere pittoriche precedenti, risalenti cioè alla prima metà e raffiguranti i personaggi della ricca borghesia cittadina e i loro familiari, adornati con gioielli e abiti sontuosi, sono piuttosto rari. Gli storici dell'arte si sono chiesti come mai questa mancanza di ritratti nel primo periodo del Rinascimento e si è supposto che ciò sia dovuto ad un episodio accaduto a Firenze dopo il 1420. 
Il ricco banchiere Palla Strozzi commissionò a Gentile da Fabriano nel 1423 una grande pala d'altare con l'Adorazione dei Magi da porsi nella cappella di famiglia a Santa Trìnita. Palla era un uomo colto, collezionava libri rari, conosceva il greco e il latino ed era ricchissimo. Per suo volere il pittore avrebbe dovuto riproporre nella scena sacra molti degli oggetti di oreficeria e le preziose stoffe di cui era il possessore. E infatti tutto questo compare: le armi finemente cesellate, le stoffe broccate e tessute con fili d'oro e d'argento, i ricchi finimenti dei cavalli, vasellame con pietre preziose. Questo sfoggio di ricchezza, che era visibile a tutti dato che la pala era esposta in una chiesa, ai fiorentini non piacque per niente e ancora meno piacque alle famiglie rivali degli Strozzi, prima fra tutte quella dei Medici. Palla già sessantenne, una bella età per l'epoca, si ritrovò ad un certo punto schierato tra coloro che si opponevano a Cosimo de Medici, il Vecchio; questi era riuscito di fatto ad assicurarsi il potere su Firenze piazzando uomini chiave alla guida degli uffici della Repubblica fiorentina. L'opporsi al Medici fu fatale per Palla, la vendetta di Cosimo si abbattè su di lui inesorabile. Con l'appoggio del popolo e delle autorità cittadine Cosimo riuscì a far condannare Palla all'esilio. Nel 1434 il banchiere partì per Padova, non riuscì a tornare mai più a Firenze perchè Cosimo fece in modo di rinnovargli la condanna di anno in anno. Questo episodio sarebbe servito da monito per le altre ricche famiglie che abitavano Firenze a non sbandierare troppo la propria potenza economica. 
Rimane la bellissima pala d'altare commissionata da Palla a Gentile da Fabriano, oggi conservata agli Uffizi, ricca di oro, di personaggi paludati con le splendide stoffe broccate e ricamate prodotte in quegli anni a Firenze e vendute a prezzi stratosferici in tutta Europa, e infine il vasellame prezioso utilizzato di certo sulla tavola imbandita dove la famiglia Strozzi si radunava prima che la furia di Cosimo si abbattesse su di essa.
   

giovedì 6 marzo 2014

Ecce Homo



“Io Michel Ang.lo Merisi da Caravaggio mi obbligo di pingere al Ill.mo S [Ignor] Massimo Massimi p [er] esserne statto pagato un quadro di valore e grandezza come quello ch’io gli feci già della Incoronatione di Crixto p [er] il primo di Agosto 1605. In fede ò scritto e sottoscritto di mia mano questa questo dì 25 Giunio 1605. Io Michel Ang.lo Merisi”
E' la nota autografa, datata 25 giugno 1605, che attesta la commessa che il pittore Michelangelo Merisi detto il Caravaggio ottenne dal cardinale Massimo Massimi. In questo documento (uno dei pochi che ci sono pervenuti dell'artista) Caravaggio si impegna ad eseguire entro il I agosto di quell'anno, quindi in pochissimo tempo, una grande tela raffigurante l'Ecce Homo.
 “Ecco l’Uomo” così Ponzio Pilato, prefetto romano della Giudea fra il 26 e il 36, si sarebbe espresso nel mostrare al popolo Gesù dopo il processo, con i segni della flagellazione. Ma il Cristo di Caravaggio, dal volto delicato e lo sguardo ormai rassegnato rivolto in basso, non mostra alcuna ferita, solo un piccolissimo rivolo di sangue sulla fronte dove gli è stata apposta la corona di spine. La luce che proviene alla sua destra lo avvolge interamente, essa non è luce solare ma presenza divina: Dio si manifesta, mostra e offre al mondo il suo unico figlio quale agnello sacrificale per mondare i peccati degli uomini. Un inusuale Ponzio Pilato, vestito in abiti seicenteschi e dai tratti quasi caricaturali, guarda lo spettatore indicando il Cristo. Le sue mani, dipinte di scorcio, imprimono alla scena una straordinaria profondità e ad esse spetta il compito di parlare, di annunziare "Ecco l'Uomo", più dello sguardo. Inusuale anche il gesto, quasi di rispetto, del carnefice che dopo aver incoronato Gesù di spine lo copre col manto e gli parla sommessamente, in modo pacato; nel suo volto non c'è cenno di derisione ma di pietà. Forse il primo passo verso la sua conversione.