moretta

martedì 21 aprile 2015

L'Annunciazione Cavalcanti



Entrando nella Basilica di Santa Croce a Firenze si nota sulla parete della navata destra una scultura a bosso rilievo in pietra serena con dorature, è l'Annunciazione Cavalcanti eseguita da Donatello intorno al 1435, una delle poche opere dello scultore che si possono ancora vedere nella sua collocazione originaria. Essa deve il suo nome ai committenti, i Cavalcanti, che in quel punto avano la tomba di famiglia (oggi purtroppo non più esistente e non più ricostruibile con certezza). La scena evangelica è inserita all'interno di un'elegante edicola rinascimentale che funge da palcoscenico, una sorta di finestra che si apre davanti lo spettatore e lascia intravedere l'interno di una stanza dove i due protagonisti, l'angelo e la Vergine, sono rappresentati nel momento immediatamente successivo all'evento miracoloso, ovvero l'apparizione del messaggero divino. La Madonna è sorpresa, non spaventata però, e si porta una mano al petto mentre con l'altra stringe il libro che poco prima stava leggendo, libro che vuole ricordare che con questo evento si compiono le Sacre Scritture. Ella pare accennare ad una fuga ma il volto è tutto proteso verso l'angelo e la sua espressione è umile e serena al tempo stesso. L'angelo inginocchiato la osserva con dolcezza innescando un dialogo fatto solo di sguardi. Impossibile non notare la semplicità della materia utilizzata, la pietra serena, che però Donatello impreziosisce con l'oro plasmando il tutto con straordinaria eleganza e maestria.. 

lunedì 20 aprile 2015

Il Cristo alluvionato



Di recente è tornato nella sagrestia della Basilica di Santa Croce a Firenze il grande crocifisso ligneo di Cimabue, la vittima artistica più illustre dell'alluvione che colpì la città nel novembre del 1966. Cimabue fu uno dei primi a sentire l'esigenza di superare i modi della pittura bizantina, un'arte che pareva aver completamente dimenticato i canoni dell'arte greco-romana, ovvero la ricerca delle reali forme della natura e dell'anatomia umana, la sua volumetria, il senso dello spazio, la drammaticità dei gesti, la ricerca di psicologia nei volti e quindi l'umanizzazione dei personaggi che venivano raffigurati. Cimabue vuole ritrovare tutto questo, superare la fissità delle pose e delle espressioni tipiche dell'arte bizantina, ricerca il movimento, il patos, i sentimenti. Perchè questo bisogno adesso, alla fine del 1200? Perchè erano apparsi sulla scena storica due figure grandissime e importantissime: San Francesco che col Cantico delle creature aveva spinto gli uomini a guardarsi intorno, a rivalutare l'ambiente, la realtà delle cose in contrapposizione con la spiritualità medievale che invece aveva mortificato il corpo, dato una visione mistica e trascendente delle cose; l'altra figura è Federico II di Svevia, "stupor mundi" lo definirono i suoi contemporanei, l'imperatore tedesco, erede del Barbarossa, che ad un certo punto decide di lasciare la sua terra e di tenere corte a Palermo, nel cuore del Mediterraneo, dove crea un centro di cultura laica anticipando le grandi corti del Rinascimento. Qui si danno convegno matematici arabi, intellettuali normanni, i primi stilnovisti che fonderanno le radici della letteratura italiana e anche scienziati, artisti, filosofi. E' Federico che riconosce la scuola medica di Salerno come istituzione e da il permesso di avviare lo studio dell'anatomia umana con la pratica della dissezione su cadaveri prima di allora mai eseguita perchè contraria alla volontà della chiesa cattolica (ma anche delle altre religioni, sia araba che ebraica). Va sottolineato che durante il medioevo gli studenti di medicina studiavano l'anatomia sui maiali. Inoltre Federico fa riscoprire il mondo classico, lui stesso ama vestirsi come gli antichi imperatori romani e indossa cammei antichi. Queste due personalità sono la chiave di volta per il rinnovamento delle menti a partire dalla seconda metà del Duecento. Il Crocifisso di Cimabue, dipinto con molta probabilità tra il 1272 e il 1288, è frutto di questo cambiamento iconografico. E' un Christus patiens, un Cristo sofferente di grande patos, il corpo è longilineo, sinuoso e pare inarcato nella torsione dell'agonia. C'è un tentativo di movimento dunque e anche di realismo anatomico. Nei terminali sono dipinti la Vergine e San Giovanni a mezzobusto e piangenti. La cimasa, la parte in alto della croce, reca il cartiglio "INRI". La perdita del colore in molte parti purtroppo non ci permette più la visione del suo insieme ma la forza espressiva e il senso di pietà che infonde in chi lo guarda è rimasto immutato.