moretta

sabato 31 gennaio 2015

San Giorgio, il drago e lo scorpione



Il piccolo cammeo in onice, risalente al XVII secolo e conservato al British Museum di Londra, reca inciso nella parte frontale San Giorgio a cavallo nell’atto di uccidere il drago e nel retro uno scorpione. Il manufatto apparteneva a Sir Hans Sloane 200 e fu acquisito dal British Museum alla sua morte avvenuta nel 1753. Nel manoscritto da lui lasciato, dove elenca gli oggetti della sua collezione, si legge: “D. Georius, Equo infidens cum dracona in onyche”.
Del cammeo non si conoscono notizie riguardo la provenienza né come Sir Slogane ne venne in possesso. Jacopo da Varagine racconta nella sua Leggenda Aurea che la città di Silene in Libia era minacciata da un feroce drago che spesso si avvicinava all’abitato e uccideva col fiato le persone che incrociavano il suo passaggio. Per placarlo i cittadini cominciarono a offrirgli due pecore, poi una pecora e un giovane tirato a sorte. Un giorno il fato scelse la figlia del re. La fanciulla fu condotta nei pressi di uno stagno dove dimorava il drago e lì aspettò la morte. Passò proprio in quel momento un cavaliere, Giorgio, che tranquillizzata la fanciulla si preparò ad affrontare la belva e quando questa uscì dal suo rifugio, sprizzando fuoco e fumo pestifero dalle narici, egli salì sul suo cavallo e la affrontò riuscendo a trafiggerla con la sua lancia.
Il drago nell’immaginario cristiano rappresenta Satana e quindi il Male per eccellenza, inteso in tutte le sue forme. Scrive Boccaccio nell’Introduzione al Decameron: “…E fu questa pestilentia di maggior forza perciò che essa dagl’infermi quella per lo comunicare insieme s’aventava a’ sani, non altrimenti che faccia il fuoco alle cose secche o unte quando molto gli sono avvicinate…”. La peste è equiparata al fuoco e non a caso San Giorgio, vittorioso sul drago dall’alito infuocato e pestifero, è invocato contro l’epidemia ma anche contro la lebbra e la sifilide. 
Sul retro del cammeo è inciso il segno zodiacale dello Scorpione. Secondo un’antichissima tradizione alla quale si ispirarono i lapicidi medievali e rinascimentali, dalle stelle sarebbe derivato un potere in grado di caricare di virtù le pietre preziose. Tale credenza sarà ripresa fino al Seicento inoltrato rifacendosi agli scritti di Rabano Mauro e Cecco d’Ascoli. Di figure astrali da incidere a scopo curativo su una pietra magica aveva parlato Marsilio Ficino nel cap. XXII del suo Consilio contro la Pestilentia riferendosi ad un’antica tradizione tramandata dai sapienti persiani e arabi: “Hahamed dice che si mecta [una pietra] in anello et scolpiscasi in essa l’immagine dello scorpione quando la Luna è in Scorpione et risguardi l’ascendente….”. Anche il Dolce nel suo Libri tre nei quali si tratta delle diverse sorti delle gemme che produce la natura (Venezia 1565, pp. 71v, 72r) riprende il tema: “…le imagini scolpite nelle pietre con ragione, sono universali, o particolari, ovvero significative delle virtù delle pietre. Chiamo universali imagini quelle che si trovano scolpite in  no i segni dello zodiaco….Le imagini particolari habbiano detto esser come di pianeti e delle costellazioni del cielo”.  Nel Lapidario del re Alfonso di Castiglia (1250 ca.) inoltre vi è un’immagine che mostra le corrispondenze tra stelle, pietre preziose e gradi dello scorpione.
All’immagine di tale segno zodiacale è notoriamente riservato un potere soprannaturale carico di significati occulti; esso è il pianeta di Marte dio della guerra e se inciso su una pietra arreca potenza e forza a chi la porta.

venerdì 30 gennaio 2015

Una poetessa alla corte del Granduca




Non era bella Laura ma dotata di grande carisma, intelligenza e forza d'animo e nella Firenze del Cinquecento queste doti avevano un gran valore. Era nata ad Urbino nel 1523, figlia illegittima di un nobile, Giovanni Antonio Battiferri, che solo più tardi la riconobbe. Rimasta vedova a soli 27 anni si risposò col fiorentino Bartolomeo Ammannati, uno degli architetti e scultori più ricercati dalla corte medicea. Amante delle arti e di letteratura nella villa di Maiano che condivideva col marito era solita accogliere umanisti, poeti e artisti del calibro di Benedetto Varchi, Benvenuto Cellini, Pier Vettori e Agnolo Bronzino che la ritrasse in questa tela oggi conservata in Palazzo Vecchio. Poetessa ella stessa fu molto apprezzata ai suoi tempi tanto da essere proclamata superiore a Saffo e accolta in alcune rinomate Accademie ad Urbino e a Siena, nonché alla corte medicea di Cosimo I. Quando morì a 66 anni fu sepolta insieme al marito nella chiesa di San Giovannino a Firenze. 
Laura è vista di profilo, in un modo arcaicizzante che ricorda le effigi sulle monete antiche e i ritratti del Quattrocento. Con la mano destra tiene un libro di sonetti scritto da Petrarca e con le dita sottili ed eleganti dell'altra mano indica il verso dedicato alla donna tanto amata e immortalata dal poeta e che aveva il suo stesso nome: Laura. Sul viso lungo sporge il naso aquilino che comunque niente toglie alla figura potremo dire di una bellezza un po' algida e distaccata. I capelli sono raccolti da una cuffia bianca a sua volta coperta da un velo trasparente che le scende fino alle spalle e all'attaccatura delle ampie maniche dell'abito in velluto scuro. Pochi i gioielli: un piccolo anello d'oro con uno zaffiro rettangolare nella mano sinistra e una sottile catena sempre d'oro a ricordo della sua grande devozione e rigore dei costumi.

MEDUSA




Uno dei capolavori più conosciuti e ammirati della Galleria degli Uffizi è lo scudo in pioppo rivestito da una tela di lino (56 centimetri di diametro) sul quale Caravaggio dipinse ad olio, verso la fine del Cinquecento, una testa di Medusa. Commissionata dal cardinale Francesco Maria del Monte, ambasciatore presso la Santa Sede del Granduca di Toscana, la Medusa fu poi da questi donata a Ferdinando I de' Medici e collocata nella Sala dell'Armeria che il granduca stava allestendo a Palazzo Vecchio per raccogliervi la sua ricca collezioni di armi. Lo scudo fu posto su di un manichino a cavallo e il dono fu graditissimo poichè il tema della Medusa era già molto caro ai Medici che nelle loro collezioni di gemme annoveravano numerosi cammei antichi e moderni con questo soggetto; ad esso era dato il valore simbolico di immagine della prudenza e della sapienza, due virtù che avevano permesso alla famiglia fiorentina di acquistare ricchezza e assicurarsi il potere.
Raccontano Esiodo nella Teogonia (274-284) ed Ovidio nelle Metamorfosi (IV, 769-803) che Medusa era un mostro con le mani di bronzo, il corpo ricoperto di scaglie, serpenti al posto dei capelli e occhi di fuoco in grado di pietrificare chiunque la guardasse. Fu uccisa da Perseo, figlio di Zeus, che le mozzò la testa guardando la sua immagine riflessa sul suo scudo lucido come uno specchio. Perseo donò poi la testa mozzata ad Atena che la pose sul suo scudo (secondo altri sull’armatura) rendendolo arma micidiale contro i nemici in quanto anche dopo la morte gli occhi di Medusa mantenevano il loro potere pietrificante. 
L'opera di Caravaggio è straordinaria. Dal fondo verde dello scudo la testa di Medusa emerge in tutta la sua terrificante realtà; lo sguardo mostra sorpresa e terrore, gli occhi sono spalancati e allucinati, la bocca aperta in un urlo muto e che lascia intravedere la lingua e i denti sono raffiguranti nel momento preciso in cui il mostro è stato decapitato. Attorno al viso le serpi si intrecciano tra loro in un moto vorticoso quasi a percepire la loro fine imminente e dal collo sgorga copioso il sangue.