moretta

martedì 14 gennaio 2014

Il giallo (forse risolto) della morte di Isabella




Terza figlia di Cosimo I de Medici e di Eleonora di Toledo, Granduchi di Toscana e signori di Firenze, Isabella aveva nel suo nome le migliori qualità: bellezza, intelligenza, modestia, eleganza, cultura. Dotata di un carattere brillante e indipendente e del raro dono della diplomazia era benvoluta da tutti. Letterati, musicisti e poeti le dedicavano le proprie opere e ne ricercavano i favori. Sembrava che il Fato le avesse destinato ogni fortuna ma non fu così. Fidanzata nel 1553 a soli undici anni a Paolo Giordano Orsini, duca di Bracciano, lo sposerà cinque anni dopo. In quell'occasione Alessandro Allori la ritrasse nel pieno della giovinezza, con indosso un elegante abito in velluto scuro e maniche ricamate in oro, adornata di perle e in mano un fazzoletto ricamato dal quale spunta un garofano, tutti simboli della sua condizione di sposa. Paolo fu per lei un pessimo marito: litigioso, infedele, amante del gioco e irrispettoso, non ebbe per lei né amore né affetto considerandola sempre una cosa imposta e non voluta o almeno così ci viene descritto dalle testimonianze dell'epoca. Una mattina d'estate del 1576 Isabella muore nella villa di Cerreto Guidi vicino Firenze e subito si sparge la voce che sia stata uccisa dal marito per punirla della tresca con un membro della sua stessa famiglia, Troilo Orsini, cugino di Paolo. Un delitto d'onore quindi. Ma pare non sia andata proprio così. 
Di recente Isabella Mori, studiosa romana, ha pubblicato le sue ricerche d'archivio che proverebbero una storia ben diversa. Prima di tutto lo scambio di lettere tra Isabella e Paolo, in totale 579 e tutte autografe, che dimostrerebbero che in realtà i due erano molto innamorati. "Io ti adoro, bella, e credi che quando mi morirò, ne' figli, ne' Stato, ne' amici, ne' dame, ne' niun'altra cosa mi si ricordarà, se non che io ti adoro". Così scriveva Paolo alla moglie in una delle sue ultime lettere. E ancora: "non ho che voi", le dice spesso, "voi che amo fin da fanciullo". Da altri documenti pare poi che la principessa medicea soffrisse di <oppilatione>, ovvero una ostruzione delle vie urinarie che le causava violenti febbri. Forse furono queste infezioni mal curate, dato che al tempo non esistevano gli antibiotici, a portarla alla morte. Le notizie del suo assassinio sarebbero state divulgate da detrattori, ambasciatori di potenze ostili, famiglie avversarie ai Medici e agli Orsini e da fuoriusciti fiorentini che contribuirono a creare il giallo storico della bella e sfortunata Isabella.



lunedì 13 gennaio 2014

La cosmesi nel Rinascimento



Anche nei tempi passati il sogno di allontanare dal proprio corpo i segni del tempo era pari a quello di guarire dalle malattie ma soprattutto nel Medioevo farsi belle davanti ad uno specchio era considerato un peccaminoso atto di lussuria, di vanità, di contraffazione della realtà. Durante le messe erano in molti a tuonare dai pulpiti contro profumi e scolli di abiti troppo profondi, di ranni per tingere i capelli e "biacche" che illuminavano l'incarnato, pratiche ritenute oscene, addirittura vere e proprie arti magiche in grado di cambiare il reale aspetto di una persona e punibili quindi col rogo. Eppure la cosmetica, come la farmacopea e la medicina, aveva radici antichissime. Egizi, Greci, Babilonesi, Romani ci hanno tramandato ricette per balsami capaci di ammorbidire la pelle e di creme depilatorie. Ma è nel Rinascimento che la cosmetica diventa un'attività seguitissima, ogni donna dell'alta società ha i suoi segreti di bellezza e per loro vengono create sempre nuove fragranze e gioielli per contenerle come i "paternostri profumati", impasti aromatici da porre all'interno di filigrane in oro, oppure guanti in pelle trattata con essenze durante la concia. Non rare le ricette che contenevano pietre preziose: per schiarire i denti per esempio si consigliavano rosmarino, acqua di rose, corno di cervo polverizzato nel mortaio assieme a perle e coralli rossi.
Caterina Sforza, signora di Imola, qui ritratta da Lorenzo di Credi, scrisse un vero e proprio ricettario e aveva fatto allestire un laboratorio alchemico dove preparava di persona unguenti contro i bubboni per la peste ma anche in grado di spianare le rughe del viso, oli contro la caduta dei capelli, colliri e callifughi. Le cronache raccontano che a trentasei anni, età considerata già avanzata visto che l'età media era di 45-50, Caterina avesse ancora la pelle fresca come quando era adolescente pur avendo avuto vita tutt'altro che facile e ben dieci gravidanze.
Questi ricettari nel Rinascimento non erano rari, ogni speziale (così erano chiamati all'epoca i farmacisti) aveva la sua raccolta di prescrizioni custodite gelosamente e tramandate di generazione in generazione, una sorta di "rimedi della nonna" a cui ricorrere in caso di bisogno e vendere anche a caro prezzo. Di gran moda erano gli elisir di lunga vita, composti di ogni ben di Dio: ambra, zucchero, scorse di cedro, radici di finocchio, semi d'anice, granati, smeraldi, perle, foglie di ruta e di salvia. Non si disdegnava anche l'aggiunta di rane, lucertole e sangue mestruale ed è forse questo che faceva si che all'occhio dei più la cosmesi si mescolava con la magia. Ne fece le spese anche la bella Caterina Sforza e l'incorruttibilità del suo fascino fu creduto dai suoi detrattori frutto di sortilegi e di pratiche che rasentavano la stregoneria. Possiamo solo immaginare che cosa penserebbero delle donne moderne, probabilmente saremmo tutte destinate al rogo !

giovedì 9 gennaio 2014

Isabella, la moglie di Rubens



Figlia di un nobile funzionario di Aversa e umanista, Isabella sposò il già famoso pittore Pieter Paul Rubens nel 1609. Per quell'occasione egli dipinse questo doppio ritratto conservato a Monaco in cui traspare non l'ufficialità del matrimonio ma il suo aspetto più sentimentale, intimo. I due sposi sono seduti sotto un pergolato di caprifoglio che nella tradizione popolare germanica era simbolo di resistenza, di lunga vita, quindi ben augurale alla buona riuscita e longevità del legame coniugale. La mano di Isabella poggia dolcemente su quella del suo sposo, era questo un gesto rituale e con valore giuridico, la cosiddetta <dextrarum junctio> che in antico rappresentava la formale promessa di matrimonio, ma qui diviene gesto d'affetto e amorevole. L'atmosfera è distesa, serena e quasi informale tanto che il pittore accavalla le gambe con fare naturale e abituale. Rimangono comunque ben visibili le differenze gerarchiche tra marito e moglie, Rubens infatti è seduto in una posizione più alta rispetto ad Isabella.
L'alto stato sociale della coppia è dimostrato dal loro ricco abbigliamento. Rubens indossa un abito secondo la moda del tempo in velluto operato marrone con calzoni al ginocchio, le maniche del giubbone sono in seta e il tutto impreziosito dall'ampio collo piatto in lino e pizzo; sulla testa un cappello in velluto nero su cui spicca una fibbia-gioiello. Isabella indossa un'ampia veste in seta con una grande gorgiera in merletto e il corpino in raso bianco con fiori gialli ricamati. Ai polsi due grandi bracciali in oro e pietre preziose a lastre ovali di identica fattura.
La coppia ebbe tre figli, la primogenita, Chiara Serena, morì a soli 12 anni. Anche Isabella morì giovane, a 34 anni, non è ancora chiaro se di peste o a causa di un male incurabile. Di lei ci restano altri ritratti che la raffigurano sempre con un dolce sorriso, gli occhi grandi e luminosi, l'espressione fiera di essere moglie e musa di un grande artista conteso dalle corti di tutta Europa.

domenica 5 gennaio 2014

Il talismano della regina





Mai regina di Francia suscitò tanta esecrazione come Caterina de' Medici, accusata di essere una strega, un'avvelenatrice, addirittura una ninfomane, donna priva di scrupoli e assetata di potere e a tale damnatio memoriae contribuirono gli scritti di Balzac e Dumas. Solo nel Novecento gli storici hanno rivalutato la figura di questa fiorentina andata sposa ad un uomo che non l'amava preferendole l'amante, la bella Diane de Poitiers, che si trovò fin troppo presto vedova a reggere le sorti di una grande nazione e a combattere gli intrighi di palazzo orditi da coloro che fin da subito l'avevano appellata con disprezzo "l'italien". Qualche anno fa, in occasione di una mostra a lei dedicata, è stato esposto un suo gioiello, una placca con incise delle formule, un talismano quindi.
I talismani (dal greco «telesmena», cosa consacrata) sono ancora oggi oggetti preparati appositamente seguendo specifiche relazione tra flussi astrali propiziatori e riportano, di solito, incise formule o raffigurazioni ma anche entrambi. Essi vengono indossati per fare da polo d’attrazione delle forze benevole, dunque hanno un'azione opposta agli amuleti che invece hanno il compito di respingere gli influssi negativi. Il talismano astrale di Caterina dei Medici, conservato alla Bibliothèque Nationale de France, a Parigi, che sembra la regina portasse sempre con sé, è un oggetto creato per attrarre potere e amore. Di forma ovale da una parte ha raffigurati Giove, l’aquila di Ganimede e un demone con la testa del dio egizio Anubis; sul retro l’immagine di Venere, dea della bellezza e dell'amore, affiancata dai nomi di demoni incisi tra i quali Asmodeo, demone del desiderio carnale, invocato di solito per ottenere l’energia specifica per conquistare l’amore di un’altra persona. 
Più che un mostro assetato di sangue basterebbe questo talismano per avere la prova di chi era veramente Caterina, una donna che per tutta la vita, orfana ancora in fasce, pedina di giochi politici, ha cercato disperatamente una sola cosa: essere amata.