moretta

venerdì 22 marzo 2013

Eleonora di Toledo e il suo anello





Donna volitiva e sicura di se', Eleonora, figlia del vicerè di Napoli, andò sposa al duca Cosimo I de Medici il 29 marzo 1539. Amatissima dal marito secondo i contemporanei aveva un carattere irritabile e poco incline alla dolcezza. Consapevole della sua bellezza aveva un'autentica passione per i gioielli e gli abiti sfarzosi, era inoltre amante del gioco e delle scommesse. Partorì ben 11 figli alcuni dei quali morirono senza aver compiuto i vent'anni. Questo ritratto fatto da Agnolo Bronzino nel 1543 e conservato a Praga la ritrae, all'età di 24 anni e già madre di quattro figli, con un magnifico abito cremisi ricamato d'oro e impreziosito da perle. Al dito mignolo della mano destra, che è posta sotto il seno a simboleggiare la fedeltà coniugale, Eleonora porta un piccolo anello che è giunto fino a noi perchè ritrovato nella sua tomba durante la ricognizione ottocentesca nelle Cappelle Medicee. L'anello in oro ha una pietra incisa con una singolare iconografia: al centro un uccello dalle lunghe zampe posto sopra una sorta di piedistallo e affiancato da due cornucopie, in basso due mani che si stringono. Le incisioni rimandano all'abbondanza, alla fertilità, alla fedeltà per la presenza delle due cornucopie e delle mani strette "in fede".








martedì 5 marzo 2013

Pomander





Tra il Cinquecento e il Seicento si diffuse la mania dei profumi, l’igiene era lasciata molto al caso e per nascondere i terribili odori che provenivano da case e persone le essenze di ambra, cannella o muschio erano di ottimo aiuto, mentre ingenuamente si credeva che esse avessero anche il potere di scacciare le malattie. Venivano raccolte entro globi preziosi traforati, i pomander (chiamati in Germania “bisamapfel” e in Francia “pomme d’ambre”), appesi a loro volta a catene per essere indossati al collo, su cinture, al polso e anche nei rosari in qualità di paternoster. 
Pare che la loro origine sia orientale e la prima comparsa risalirebbe al 1174 anno dell’incoronazione di re Baldovino di Gerusalemme che inviò all’imperatore Federico Barbarossa una raffinatezza: contenitori sferici di metallo traforato composti di due valve con all’interno un impasto di cera, o argilla, e muschio. I pomander avrebbero avuto in seguito una grande diffusione durante la Peste Nera nel 1348 perché considerati oggetti di profilassi. Per difendersi dal contagio infatti si mise a punto una vera strategia degli odori: vasetti, bussolotti, palle di stagno o argento, avorio, legno, zendalo (velo finissimo di seta) ripiene di composizioni odorose (polveri aromatiche impastate con olio di rose o altri liquidi) o di spugne inzuppate di aceto, da portare in mano per essere odorate spesso. Tale consuetudine sarebbe continuata anche nel Rinascimento dove divennero, oltre che utili anche veri e propri oggetti di moda e di cosmetica. Cosimo I de’ Medici, per esempio, possedeva “Una cinta da cingere col pendaglio d’oro lavorato di straforo à giorno ripiena tutta di pasta odorifera di muschio et ambra, composta di cinquanta bottoni d’oro come è, detto, piccoletti et cinquantatre bottoni simili ma due tanto maggiori in circa et da piede una gran pera à fogliami dorata trasparenti à giorno, ripiena tutta della medesima pasta, et in fondo tre festoncini d’oro smaltato per finimento”. 
I pomander potevano essere di diversi tipi: di forma sferica oppure ovale, ma anche raffiguranti un cuore, una goccia o un animale; erano lavorati in metallo traforato e venivano riempiti  all’interno con un composto solido di cera o resina al quale si aggiungevano più essenze ridotte in polvere col mortaio (canfora, muschio, zibetto, ambra). I più elaborati erano globi apribili a spicchi, ognuno dei quali aveva uno scomparto da riempire di polvere profumata.
Il pomander della foto è conservato al Victoria and Albert Museum ed è datato all'inizio del XVI secolo. E'composto da due semisfere in oro con smalti di colore celeste, bianco e verde, perle e una decorazione a volute vegetali e fiori. Sulla sommità è presente una maglia circolare d’oro che univa il gioiello a una catena per essere portato al collo o più verosimilmente a una cintura.



C'era una volta





 Il ghetto di Firenze in un quadro del 1882 di Telemaco Signorini. Per volontà di Cosimo I Granduca di Toscana nel 1560, ad opera dell’architetto Bernardo Buonatalenti, fu adattato una parte del centro medievale per farvi sorgere il quartiere ebraico. L’isolato, posto a nord di Mercato Vecchio (che occupava lo spazio oggi dell’attuale Piazza della Repubblica, a due passi da Ponte Vecchio), aveva solo tre ingressi muniti di cancellate in ferro che venivano chiuse a mezzanotte. Prima di essere destinato agli Ebrei quest’area della città era stata abitata da famiglie nobili, vi sorgevano prestigiosi palazzi e vi si svolgeva una produttiva attività di vendita grazie alla presenza di numerosi mercati, botteghe artigiane e negozi. Col tempo divenne un quartiere composto da stradine che non vedevano mai la luce del sole, sporche e mal areate e dove si affacciavano povere case malmesse. 
Estintasi la dinastia dei Medici nel Settecento i nuovi signori di Firenze, i Lorena, abolirono le leggi discriminatorie egli Ebrei a poco a poco abbandonarono il ghetto per andare ad abitare altre zone della città. Al loro posto si insediò la popolazione più povera, i reietti, le prostitute e i furfanti dando vita ad uno dei quartieri più degradati e pericolosi di Firenze.
Quando con l’unità d’Italia Firenze divenne capitale si cominciò a risanare e modernizzare l’antico centro storico medievale e il ghetto, considerato una vergogna indegna di una città che era stata culla del Rinascimento, fu letteralmente abbattuto per far posto a piazze e vie spaziose ed eleganti.